Nel momento in cui venisse a mancare un socio di una società, quest’ultima può subire degli sconvolgimenti, a prescindere dalla tipologia di compagine societaria.

QUALI SONO LE CONSEGUENZE?

In questo articolo vedremo cosa accade nel caso di decesso del socio di una società di persona e, di riflesso, gli effetti sula società, ossia se essa possa continuare ad esistere, se debba sciolta o liquidata, fino ad arrivare agli effetti per gli soci superstiti e gli eredi.

Ma andiamo con ordine e vediamo di capire meglio.

COSA SUCCEDE?

Nelle società di persone, l’assunzione della qualità di socio comporta una responsabilità illimitata (cioè anche con i propri beni personali) per tutte le obbligazioni sociali.

Proprio per tale caratteristica, gli eredi non subentrano automaticamente nella società.

La ragione è molto semplice ed è dovuta al fatto che, vista la particolare natura del vincolo societario e la conseguente forma di responsabilità, chi subentra deve effettivamente manifestarne la volontà, in ossequio al principio di libertà di iniziativa economica privata sancito dall’art. 41 Cost.

L’unico diritto, invece, che si trasmette è quello di ottenere la liquidazione del socio defunto, a meno che nell’atto costitutivo non sia prevista una specifica clausola di continuazione.

In buona sostanza, gli eredi sono creditori della società per quanto riguarda la quota del socio defunto.

NORMATIVA DI RIFERIMENTO

Sotto il profilo giuridico le norme che disciplinano la materia sono l’art. 2284 e l’art. 2322 c.c., riguardanti, rispettivamente il tema nella società semplice, la S.n.c. e alla S.a.s., limitatamente alla posizione del socio accomandatario, mentre il secondo si riferisce esclusivamente, in tema di S.a.s. alla posizione del socio accomandante.

Il primo dei summenzionati articoli prevede che – a meno che lo Statuto societario non disponga diversamente – alla morte del socio i soci superstiti abbiano 3 diverse opzioni:

  • liquidare la quotaagli eredi;
  • sciogliere la società;
  • continuare la società con gli eredi del socio defunto, sempre che questi vi acconsentano.

Per quanto riguarda, invece, la morte del socio accomandante nella S.a.s., la quota di questi è trasmissibile per causa di morte.

Pertanto, nel caso di morte del socio accomandante gli eredi, purché abbiano accettato l’eredità, acquistano la qualità di soci accomandanti della società di cui faceva parte il de cuius.

PERCHÉ?

La ragione sta nella differente natura della responsabilità del socio accomandante, poiché non assumendo egli una responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali, è assente il requisito di imprenditorialità che, come sopra indicato, impedisce la trasmissibilità mortis causa della partecipazione del socio a responsabilità illimitata.

Anche in questo caso, tuttavia, lo Statuto può derogare espressamente, prevedendo l’inserimento di una clausola che ne stabilisca la non trasmissibilità, con la conseguenza che, in caso di morte, i soci superstiti saranno tenuti alla liquidazione della sua quota nei confronti degli eredi del socio defunto.

LIQUIDAZIONE DELLA QUOTA DEL SOCIO DEFUNTO – COME FUNZIONA

Tra le 3 ipotesi previste in caso di morte di un socio, la liquidazione della quota del socio deceduto costituisce l’ipotesi “normale”.

Tutto questo, chiaramente, in mancanza di una diversa volontà delle parti di differente previsione dell’atto costitutivo ovvero dello statuto.

Si parla di ipotesi “normale” in virtù del fatto che, solitamente, nelle società di persone è il carattere stesso dei soggetti che si uniscono a far sì che la società di persone venga ad esistere (per questo si parla di “intuitu personae”) e, di conseguenza, venuta meno la persona fisica, si ritiene di dover cessare il vincolo societario.

Come anticipato in apertura, pertanto, gli eredi del socio non entrano a far parte della società, ma conseguono solo il diritto alla liquidazione della quota del defunto.

Si tratta, quindi, di un diritto di credito del quale dovrà necessariamente tenersi conto in sede ereditaria.

QUANDO?

La liquidazione della quota deve avvenire entro sei mesi dalla morte del socio e sulla base dell’effettivo patrimonio della società. 

Non si terrà conto, dunque, del valore nominale della partecipazione al capitale, bensì della situazione patrimoniale della società al momento in cui si è verificato lo scioglimento del rapporto sociale (cioè alla morte del socio), dovendosi, comunque, prendere in considerazione gli utili e le perdite relativi alle operazioni in corso.

Descritta così la situazione sembrerebbe non destare particolari difficoltà, ma non sempre è così.

QUALI PROBLEMI?

Nel caso in cui la società abbia un cospicuo patrimonio, ma poca liquidità, potrebbero insorgere dei problemi.

Prima di tutto occorre precisare che il diritto alla liquidazione della quota spetta agli eredi e deve essere fatto valere nei confronti della società (ed a cascata nei riguardi dei soci quali illimitatamente responsabili).

Per quanto riguarda, invece, le modalità di calcolo della quota, questa deve essere liquidata agli eredi, tenendosi conto anche dell’avviamento, che, data la sua caratteristica di qualità aziendale, si traduce in un maggior valore dell’azienda.

DI conseguenza, non è corretto che di tale caratteristica continuino a goderne solamente i soci superstiti senza alcun riconoscimento agli eredi e, per tale motivo, alla situazione patrimoniale della società nel giorno in cui si verifica lo scioglimento – dovrà aggiungersi il valore di avviamento pro quota del socio deceduto.

PROSECUZIONE DELLA SOCIETÀ CON GLI EREDI

Una delle alternative percorribili alla liquidazione della quota prevista dall’art. 2284 cod. civ. prevede che la continui la propria vita, proseguendo con gli eredi del socio defunto.

Presupposto fondamentale e indefettibile è l’espressa di volontà manifestata sia dai soci superstiti che dagli eredi del defunto.

Alla morte del rapporto sociale c’è, quindi, una facoltà di decidere, con apposito atto fra vivi, di proseguire il rapporto sociale.

È chiaro che, operando tale scelta, gli eredi subentrano nella società, perdendo, però, il diritto alla liquidazione.

Se gli eredi fossero più di uno, la quota societaria nella quale decidessero di subentrare si intenderà ripartita in misura proporzionale a ciascun erede a seconda del proprio vincolo con il de cuius.

Questa scelta deve essere formalizzata dinanzi un notaio con un negozio di continuazione, atto con il quale i successori del socio defunto, forti del credito che avrebbero in caso di liquidazione, entrano in società, senza alcun vincolo di eventuali conferimenti da effettuare poiché, in quanto eredi del socio defunto, per loro varranno i conferimenti già eseguiti da quest’ultimo.

SCIOGLIMENTO DELLA SOCIETÀ

Altra ipotesi è quella dello scioglimento della società.

I soci superstiti, infatti, possono ritenere di far venire meno la società.

Anche in questo caso agli eredi spetta il diritto alla liquidazione della quota del defunto, con la differenza però, rispetto all’ipotesi di continuazione della società, che dovranno attendere le operazioni di liquidazione della società (ossia verificare quelle che sono le eventuali partite aperte e definirle tutte) per vedere onorato il proprio credito (quindi anche oltre i 6 mesi).

È chiaro che questa soluzione sarà quella privilegiata in un caso particolare, ossia quello nel quale la quota del socio deceduto era maggiormente rilevante per il perseguimento dell’oggetto sociale, oppure quando la società non disponga di somme sufficienti a provvedere alla liquidazione della quota nei confronti degli eredi del socio defunto senza incidere in modo determinante sui mezzi necessari per realizzare il programma sociale.

Qualora la morte del socio, invece, intervenga in una fase nella quale la liquidazione è già in corso, questa sarà l’unica soluzione percorribile.

Nel caso in cui la scelta dei soci superstiti ricadesse sullo scioglimento della società, questa deve essere presa all’unanimità (a meno che non vi sia una clausola specifica che preveda espressamente per tale ipotesi la possibilità di una decisione a maggioranza).

La delibera di scioglimento deve essere assunta entro il termine di 6 mesi dalla morte del socio, dato che entro tale termine deve essere versata la quota di liquidazione.

Gli eredi, tuttavia, dato che il termine è stabilito nel loro interesse, possono concedere una proroga, a meno che la società non sia rimasta con un solo socio.

Il procedimento formale di liquidazione on è imposto per legge nelle società di persone, cosicché i soci possono anche evitarla, estinguendo la società in altri modi, ovvero chiedendo al giudice nei modi ordinari di definire i rapporti di dare e avere.

La decisione di sciogliere la società da parte dei soci superstiti non conferisce agli eredi del socio lo status di soci della società in liquidazione, restando essi ugualmente creditori della società (e per riflesso, data la responsabilità illimitata dei soci, anche di questi ultimi).

Ciò determina alcuni svantaggi per gli eredi del socio defunto perché, ad esempio, non spetta loro alcun diritto di scelta nella nomina dei liquidatori (attività tipicamente competenza dei soci), come anche non possono intervenire in caso di variazioni rilevanti da assumere in tale fase (come ad la revoca dello stato di liquidazione della società), in quanto la loro figura, al fine del calcolo di eventuali maggioranze, oppure per valutare l’esistenza dell’unanimità dei consensi, non deve tenersi in alcun modo in considerazione.

CASISTICHE PARTICOLARI E PROBLEMI

Morte del socio nella S.n.c. con due soli soci

Se la “morte del socio” accada in una società costituita da due soli soci, bisogna capire se le regole sin qui viste trovino applicazione.

Secondo l’art. 2272, n. 4), c.c., infatti, è prevista come causa di scioglimento della società la sopravvenuta mancanza della pluralità dei soci, se questa non venga ricostituita nel termine di sei mesi.

Oltre all’evento morte, quindi, occorre anche la mancata ricostituzione della pluralità dei soci nel termine di sei mesi dalla sua morte.

Siamo allora in presenza di due elementi che devono essere presenti per determinarsi la causa di scioglimento.

Pertanto, fino alla scadenza del suddetto termine semestrale la società non subisce modificazioni, con il risultato che, fino a quel momento, il socio superstite mantiene tutti i suoi poteri, senza alcuna forma di limitazione.

Di conseguenza, tutte le ipotesi sopra previste dall’art. 2284 c.c. sono applicabili anche nel caso di società in nome collettivo con due soli soci.

Le due norme di cui all’art. 2284 e c.c. e all’art. 2272, n. 4), c.c. risultano quindi, compatibili, visto che la loro operatività si svolge su piani diversi e che ciascuna di esse conserva un proprio ambito applicativo. Pertanto, anche in caso di morte del socio in una società costituita da due soli soci rimangono comunque attivabili tutte le opzioni previste dall’art. 2284 c.c.

Allo stesso modo, anche la posizione degli eredi del socio per quanto riguarda la posizione di diritto di creditori e non di soci, come pure l’impossibilità di partecipare alla fase di liquidazione della società, rimane immutata.

ECCEZIONI

LE CLAUSOLE DI CONTINUAZIONE

Fermo restando tutto quanto fin qui detto, si deve precisare che ci possono essere alcune deroghe a questo sistema, a patto che lo statuto preveda espressamente regole diverse.

In particolare, i soci possono prevedere nello statuto, con diverse intensità, che la società continui con i successori del socio defunto, attraverso le c.d. clausole di continuazione. Si tratta di convenzioni con effetti immediati, anche se sospensivamente condizionate alla premorienza del socio; per tali motivi, esse non costituiscono patti successori (come è noto vietati dall’ordinamento).

Ce ne sono di tre tipi: facoltativaobbligatoria e automatica.

Clausola di continuazione facoltativa: 

soci superstiti sono obbligati a prestare il loro consenso alla continuazione della società con i successori, mentre gli eredi e i legatari possono decidere se continuare o meno la società.

I soci superstiti, in buona sostanza, manifestano anticipatamente il consenso alla prosecuzione, rinunciando, di fatto alle alternative previste dalla normativa, mentre gli eredi hanno la facoltà di poterlo fare o meno, in linea con la previsione ordinaria.

Unica limitazione si ritrova con riferimento alla S.a.s., nella quale tale clausola non è valida nel caso in cui preveda l’automatica trasmissibilità all’erede del socio accomandatario anche dell’ufficio di amministratore e la designazione sia fatta in favore di una persona indeterminata.

Clausola di continuazione obbligatoria:

prevede l’obbligo di continuare la società sia sui soci che sugli eredi e legatari.

Pur facendo discutere, questa clausola secondo la giurisprudenza viene ritenuta lecita, configurandosi con essa una promessa del fatto del terzo (art. 1281 c.c.).

In caso di mancata adesione a tale previsione da parte dell’erede, questi sarà tenuto al risarcimento del danno, quale erede del promittente.

La previsione della continuazione automatica comporta che gli eredi assumano automaticamente la figura di soci, senza alcun atto tra vivi dinanzi il Notaio (come invece avviene secondo la previsione ordinaria).

Pur risultando anche questa l’ammissibilità di tale clausola discutibile, la giurisprudenza prevalente la ritiene valida, perché in ogni caso l’erede ha la possibilità di rifiutare l’ingresso in società rinunciando all’eredità, nella quale sono comprese le quote sociali che costituiscono un bene patrimoniale del socio defunto.

È, invece, sempre valida la clausola di continuazione automatica nel caso di morte del socio accomandante; la ragione è semplice ed è dovuta al fatto che egli è socio limitatamente responsabile e, quindi, l’erede non rischia il proprio patrimonio personale.

LE CLAUSOLE DI CONSOLIDAZIONE

Nello statuto può anche essere previsto che l’obbligo di liquidazione sia posto a carico dei soci superstiti; la differenza è sottile, ma sostanziale, perché in questo caso la liquidazione sarà effettuata direttamente dai soci e non dalla società.

Tutto questo è dovuto all’inserimento nello statuto di una clausola detta di consolidazione, in virtù della quale si prevede il progressivo consolidamento delle quote dei soci deceduti in capo ai soci superstiti.

Se ne possono distinguere di due tipi: pura e impura.

Pura: la quota del socio defunto viene divisa in proporzione tra gli altri soci superstiti, senza obbligo di liquidazione in favore degli eredi del socio defunto.

Questa ipotesi, tuttavia, poiché in violazione dei patti successori (art. 458 c.c.) è ritenuta nulla.

Impura: in questo caso, oltre all’accrescimento di quota a favore degli altri soci superstiti, questi ultimi hanno l’obbligo di liquidare gli eredi del socio defunto, tenendo conto del valore effettivo della quota.

Tale ipotesi, diversamente da quella vista in precedenza, è invece ritenuta lecita.

ATTENZIONE!!

Questa clausola è specifica tra soci; quindi, in caso di cessione di quote da parte di uno o più dei soci superstiti, il socio subentrante non sarà obbligato a liquidare gli eredi del socio defunto, a meno che non venga modificata la clausola di consolidazione.

Nel caso in cui il socio subentrante morisse prima degli altri soci superstiti (ma contraenti originari del contratto societario), su tale quota non opererà il principio di consolidazione, a meno che non ci sia stato un aggiornamento della predetta clausola.

ULTERIORI CLAUSOLE

Possono trovare inserimento nello statuto, ovvero nell’atto costitutivo, alcune clausole volte a far sì che la quota sia trasmissibile mortis causa, oppure quelle limitative della divisione della quota legalmente o convenzionalmente trasmissibile.

Si può anche prevedere una quantificazione minima delle partecipazioni sociali, subordinando l’assunzione della qualità di socio ad una partecipazione prefissata sotto un profilo economico. Nel caso in cui le quote siano trasmissibili mortis causa ma indivisibili o limitatamente divisibili, i soci possono inserire nello statuto una clausola che, sulla base di criteri oggettivi, individui il rappresentante comune dei contitolari delle quote, o ne regoli l’elezione, o la subordini al gradimento di un organo sociale o di una maggioranza di soci.

Ci possono anche essere clausole statutarie che derogano ai principi sopra visti, relativamente a modi e tempi di liquidazione della quota.

Così, ad esempio, si possono prevedere termini più lunghi rispetto a quello semestrale per la liquidazione della quota, oppure pagamenti rateali della quota stessa, oppure ancora che la liquidazione debba avvenire sulla base della situazione patrimoniale relativa all’ultimo esercizio che si è chiuso prima della morte del socio.

È inoltre possibile inserire nello statuto una clausola che, al momento del passaggio agli eredi, possa modificare il rapporto sociale, disponendo, ad esempio, la conversione della quota da quota con responsabilità illimitata a quota con responsabilità.

È infine possibile inserire nello statuto alcune clausole che, dal momento della morte del socio (che è, pertanto, una condizione sospensiva), tendano a modificare la composizione o il funzionamento degli organi societari: ad esempio, la clausola che preveda il passaggio dall’amministrazione unipersonale a quella pluripersonale o dall’amministrazione disgiunta a quella congiunta o alla collegiale, o viceversa, o la clausola che modifichi il numero degli amministratori o che introduca l’eleggibilità di amministratori non soci, o viceversa.

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