Il decesso di un socio può provocare numerosi disagi all’interno della compagine societaria.

Questo avviene sia nel caso di società di persone che nelle società di capitali, come vedremo qui di seguito.

Particolare Interesse assumerà la vicenda nel caso in cui il de cuius sia una figura di spicco nella società, ricoprendo un ruolo di rilevante importanza.

A mero titolo esemplificativo, basti pensare al caso in cui intervenga la morte sia il socio di maggioranza, oppure dell’amministratore unico della società.

Prima di tutto cerchiamo di capire bene i termini della vicenda partendo da alcuni presupposti fondamentali.

COSA SUCCEDE?

Innanzi tutto si deve precisare che la società ha una proprio personalità giuridica, il che significa che può rimanere in piedi anche quanto venga a mancare uno dei soci.

Ma le conseguenze possono anche essere diverse e vanno dalla possibilità di proseguire la vita della compagine societaria con gli eredi, fino ad arrivare all’ipotesi di ricorrere allo scioglimento della società.

Sotto un profilo strettamente giuridico, le società di capitali hanno una vita propria, nel senso pieno del termine, in quanto si ha un nome distintivo della società rispetto ai soci e vi è una netta separazione tra il patrimonio di questi ultimi e il patrimonio societario.

Siamo alla presenza, in sostanza, di soggetti di diritto completamente a sé stanti.

Nelle società di capitali, infatti le partecipazioni sociali possono essere oggetto di trasmissione, sia tra vivi (ad esempio compravendita) che mortis causa.

La ragione è dovuta al fatto che in queste forme societarie non assume particolare rilievo la qualità sonale dei singoli soci.

Di conseguenza, a meno che lo statuto della compagine non disponga diversamente, le partecipazioni sociali di società di capitali, in caso di premorienza di un socio, si trasmettono automaticamente agli eredi (o legatari).

NORMATIVA DI RIFERIMENTO

Prima di analizzare il dettaglio, occorre precisare che la normativa di riferimento sarà diversa a seconda che si abbia a che fare con Società per Azioni (S.p.A.), società in accomandita per azioni (S.a.p.A.) oppure ancora società a responsabilità limitata.

  • Nel caso di S.p.A. e S.a.p.A., la trasmissibilità delle azioniin caso di decesso del socio è contenuto nell’art. 2355-bis comma 1 c.c., prevedendo che nel caso di azioni nominative ed in quello di mancata emissione dei titoli azionari, lo statuto può sottoporre a particolari condizioni il loro trasferimento e può, per un periodo non superiore a cinque anni dalla costituzione della società o dal momento in cui il divieto viene introdotto, vietarne il trasferimento”.
  • Per quanto riguarda le S.r.l., invece, la trasmissione delle quote è disciplinata dall’art. 2469 comma 1 c.c.,  secondo il quale “le partecipazioni sono liberamente trasferibili per atto tra vivi e per successione a causa di morte, salvo contraria disposizione dell’atto costitutivo”.

In sostanza, gli eredi del socio deceduto (o il legatario) (direttamente, in virtù del principio di acquisto automatico del legato, salvo rinunzia: art. 649 c.c.) diventano automaticamente titolari del diritto di partecipazione (sia che si tratti di azioni o quote), con relativo acquisto dell’esercizio dei diritti che spettavano al  de cuius (come, ad esempio, il diritto di voto in sede assemblare).

Presupposto fondamentale ed indefettibile è l’accettazione dell’eredità (per il legatario il tutto avviene automaticamente, salvo rinuncia all’eredità stessa).

COME FUNZIONA NELLE S.P.A. E S.A.P.A.

L’articolo 7, comma 1, r.d. 29 marzo 1942, n. 239 dispone che, in caso di morte e di assenza di eventuali opposizioni di qualsivoglia soggetto possa avevi interesse, la società emittente debba provvedere a:

  • predisporre il cambiamento di proprietà sui titoli azionari e nel libro dei soci; affinché tutto questo possa avvenire è fondamentale che gli eredi presentino il certificato di morte, una copia del testamento (ove esistente) e di un atto di notorietà con il quale si attesti la qualità di erede dei titoli.

È solamente grazie a questo doppio passaggio (definito doppia intestazione) che si acquisisce la possibilità di esercitare in maniera del tutto legittima l’esercizio dei diritti sociali.

Per quanto riguarda la proprietà delle azioni, invece, è sufficiente l‘accettazione dell’eredità ed adempiere ai successivi adempimenti dalle disposizioni in tema successorio.

COME FUNZIONA NELLE S.R.L.

Nelle società con responsabilità limitata le partecipazioni si trasmettono agli eredi  in caso di morte del socio come anticipato.

Questa è la regola generale che vige e, pertanto, la società troverà la proprio prosecuzione con gli eredi al posto del socio deceduto.

Ma non sempre è così.

ATTENZIONE!

C’è un aspetto che assume fondamentale importanza e vedremo il perché.

Per far sì che il trasferimento nei confronti della società e dei terzi sia valido è necessario adempiere alle disposizioni contenute nell’art. 2470 c.c., ossia depositando l’atto presso il competente Registro Imprese.

Come già visto nelle S.p.A., anche per quanto riguarda le S.r.l. l’acquisto di partecipazioni  societarie per successione avviene sulla base degli ordinari principi di diritto delle successioni.

La formalità del deposito presso il registro delle imprese assume rilievo rileva solo ai fini dell’acquisto della legittimazione all’esercizio dei diritti sociali da parte dell’erede.

Prima di questo adempimento, infatti, l’erede (o gli eredi) non può partecipare a nessuna attività sociale, né interferire con l’amministrazione societaria.

Alla morte del socio della S.r.l. sorge nel patrimonio ereditario del de cuius un diritto di credito alla liquidazione della quota, ai sensi dell’art. 2284 c.c.

Credito che è parte della comunione ereditaria e non si divide automaticamente tra gli eredi.

Di conseguenza, prima di poter disporre anche di una sola quota di detto credito, occorre procedere a divisione ereditaria.

La quota della S.r.l. deve essere liquidata secondo quanto previsto dall’art. 2289 c.c., il quale dispone che lliquidazione della quota avvenga in base alla situazione patrimoniale della società nel giorno in cui si verifica lo  scioglimento.

Qualora vi siano operazioni in corso, gli eredi partecipano agli utili (o alle perdite) inerenti alle operazioni medesime.

Il pagamento della quota spettante al socio deve essere fatto entro sei mesi dal giorno in cui si verifica lo scioglimento del rapporto, fatto salvo quanto disposto nell’art. 2270 c.c.

L’amministratore (o gli amministratori) deve, pertanto, redigere il rendiconto della società, così da ottenere una situazione patrimoniale aggiornata (rispettando ovviamente i criteri di redazione del bilancio) e provare quale sia il valore della quota.

Per quanto riguarda, invece, le modalità di calcolo della quota, questa deve essere liquidata agli eredi, tenendosi conto anche dell’avviamento, che, data la sua caratteristica di qualità aziendale, si traduce in un maggior valore dell’azienda.

DI conseguenza, non è corretto che di tale caratteristica continuino a goderne solamente i soci superstiti.

A meno che lo statuto della società non disponga diversamente, se la partecipazione si trasmette a più di un erede, le quote di ricadono in comunione ereditaria; questo significa che non vengono automaticamente divise pro-quota dagli eredi.

Affinché questo accada è imprescindibile procedere alla divisione ereditaria contrattuale (da farsi in seguito dell’apertura della successione), è la divisione sulla base di un contratto tra i coeredi delle quote spettanti a ciascuno di essi.

Divisione che assume notevole rilevanza poiché, in mancanza, i diritti sociali dei coeredi devono necessariamente essere esercitati da un rappresentante comune (art. 2468 c.c.) nominato a maggioranza.

ECCEZIONI ALLA LIBERA CIRCOLAZIONE MORTIS CAUSA DELLE PARTECIPAZIONI

La regola generale della libera trasferibilità delle partecipazioni sociali nelle società di capitali può essere derogata nello statuto.

PERCHÉ?

Ciò in quanto i soci superstiti possono infatti avere interesse ad evitare che nella compagine sociale subentrino gli eredi del socio deceduto.

In questo caso nell’atto costitutivo della società vengono previste delle limitazioni alla libera trasferibilità delle quote, in caso di morte del socio, agli eredi o ai legatari del defunto.

A prescindere da tali clausole, resta in ogni caso fatto salvo il diritto degli eredi di ottenere il valore monetario delle partecipazioni sociali del socio deceduto.

Nelle S.p.a. e le S.a.p.A., invece, l’art. 2355-bis coma 1 c.c. prevede sì la possibilità di inserire nello statuto delle clausole che subordinino il trasferimento delle azioni al gradimento di organi sociali (o di alcuni altri soci), ma dette clausole divengono inefficaci in mancanza di previsione in capo alla società (o gli altri soci) di un obbligo di acquisto.

In tali casi, la somma da riconoscere in favore degli eredi del socio deceduto sarà determinata secondo le modalità previste dall’art. 2437-ter c.c.

Limitatamente alla S.r.l., eventuali clausole limitative della trasferibilità della quota, fanno sì di conferire agli eredi del socio il diritto di recesso dalla compagine societaria; in tal caso per, l’atto costitutivo può stabilire un termine, non superiore a due anni dalla costituzione della società (o dalla sottoscrizione della partecipazione), prima del quale il recesso non può essere esercitato.

Pertanto, mentre nelle S.p.A. e S.a.p.A., il successore mortis causa del socio premorto ha il diritto di farsi acquistare le azioni dalla stessa società emittente o dai soci superstiti oppure il diritto di recedere se previsto dallo statuto ricevendo un valore che sia almeno pari al valore di recesso previsto dall’art. 2437-ter c.c., nelle S.r.l., diversamente, il successore mortis causa del socio premorto  ha solo il diritto di recesso.

Le previsioni statutarie di S.p.A. o S.a.p.A. difformi dalla disciplina legale di cui all’art. 2355-bis c.c. (che non prevedono il diritto di uscita in favore degli eredi in caso di loro preclusione ingresso) sono valide ma inefficaci, con il conseguente pieno diritto dei successori mortis causa del socio premorto di subentrargli nella titolarità delle azioni e di essere iscritti nel libro dei soci. Viceversa, nelle S.r.l. questo tipo di previsioni circa l’impedimento della trasmissibilità di quote restano efficaci, precludendo l’ingresso in società degli eredi, salvo il diritto al recesso e alla conseguente liquidazione della quota, a loro beneficio.

CLAUSOLE DI INTRASFERIIBILITÀ

Le clausole limitative del trasferimento mortis causa delle partecipazioni sociali nelle società di capitali i dividono in quattro tipologie:

  • clausole di intrasferibilità;
  • clausole di gradimento;
  • clausole di prelazione;
  • clausole di opzione o riscatto.

Le clausole d’intrasferibilità non permettono, in maniera assoluta ed incondizionata, agli eredi di entrare a far parte della compagine sociale.

Nel caso di S.p.A. o S.a.p.A., ferma la necessaria presenza nello statuto delle clausole riconducibili al diritto di acquisto o di recesso (come visto nel paragrafo che precede), tali clausole non possono avere un periodo di durata superiore a cinque anni; di conseguenza precludono l’acquisto mortis causa solamente in caso di decesso infraquinquennale.

Nel caso delle S.r.l. non è previsto tale limite e, pertanto, l’intrasferibilità delle quote potrà essere indeterminata, fatto salvo il diritto legale di recesso ai sensi dell’art. 2469 c.c.

Il correttivo del diritto di recesso è volto proprio a cercare di limitare l’inserimento di tali clausole, in quanto il recesso comporterebbe il diritto alla liquidazione della quota, cosa che potrebbe mettere in difficoltà la società.

In ogni caso, l’intrasferibilità non può mai essere volta a far sì di ottenere un diritto di accrescimento in favore degli altri soci superstiti, poiché tutto questo sarebbe in contrasto con il divieto dei patti successori previsto per legge.

Le clausole di gradimento mortis causa possono, invece, subordinare il trasferimento agli eredi al gradimento:

  • degli organi sociali(C.d.A., comitato esecutivo o, più raramente, l’assemblea);
  • di uno o più soci;
  • di terzi non soci.

Di solito l’inserimento di questa tipologia di clausole viene utilizzata all’interno di società nelle quali i componenti hanno determinate caratteristiche tecniche e, per tali ragioni, si vuole evitare il venir meno di determinati “standard” di conoscenze tecniche.

In genere sono due le tipologie di clausole di gradimento che vengono utilizzate: clausole di mero gradimento nelle quali il trasferimento mortis causa delle azioni o quote è subordinato al consenso discrezionale del titolare; clausole di gradimento non mero nelle quali questo è subordinato a condizioni prestabilite, come, ad esempio, caratteristiche (oggettive o soggettive) che devono insistere in capo all’erede.

A seconda delle compagini societarie in considerazione, le conseguenza sono diverse.

Mentre nelle S.p.A. e S.a.p.A. non si distingue, infatti, tra clausole di gradimento mero e non mero, poiché in entrambi i casi le clausole statutarie sono inefficaci (fermo restando il fatto del diritto di recesso e di pagamento della quota come visto in precedenza) con conseguente diritto per l’erede di subentrare nella titolarità delle azioni, con diritto all’iscrizione nel libro dei soci, nelle S.r.l., invece, la distinzione tra mero gradimento e non mero assume rilevanza; mentre nel primo caso c’è in ogni caso il diritto di recesso, nel secondo tale diritto non gli spetta (a meno che siano posti condizioni o limiti che nel caso concreto impediscono il trasferimento a causa di morte).

Le clausole di prelazione mortis causa sono ritenute ammissibili.

Per effetto di tale clausola statuaria, qualora gli eredi del socio defunto intendano cedere le azioni o le quote ereditate, dovranno preferire, a parità di condizioni, i soci superstiti.

Il tutto nell’intento di evitare l’ingresso in società estranei.

Tale diritto di prelazione deve essere previsto come rivolto indistintamente a tutti i soci superstiti e non solo ad alcuni di essi.

Gli eredi, pertanto, sono obbligati a indirizzare ai soci superstiti l’offerta per l’acquisto delle quote.

Qualora questo non avvenga, è precluso l’ingresso nella compagine sociale.

Il prezzo di acquisto deve essere determinato sulla base del valore di teorica liquidazione che le quote avrebbero avuto in caso di recesso degli eredi.

La clausola di prelazione deve prevedere, nello statuto:

  • modalità di esercizio della prelazione (ad esempio con contratto di compravendita o permuta);
  • modalità di comunicazione da parte degli eredi che intendano vendere;
  • indicazione del nominativo del potenziale acquirente, le condizioni pattuite e, ovviamente, il prezzo, nonché le modalità di pagamento;
  • conseguenze in caso di esercizio parziale della prelazione.

Le clausole di opzione o di riscatto mortis causa sono assimilabili alle clausole di prelazione, costituendone una sorta di variante.

Con esse gli eredi restano vincolati a subire l’eventuale esercizio dell’opzione o riscatto degli altri soci.

È evidente in come in questo caso il diritto di opzione, inserito nello statuto, sia sospensivamente condizionato al decesso di uno dei soci.

La morte del socio individua il termine iniziale dal quale decorre il tempo per esercitare l’acquisto delle quote da parte dei soci superstiti ad un prezzo che sarà predeterminato nello statuto societario sin dall’inizio e che dovrà essere almeno pari al valore di liquidazione calcolato ai sensi degli artt. 2437 ter e 2473 c.c.

Questa particolare tipologia di clausola, mentre nelle s.r.l. può essere visto come un diritto particolare da attribuirsi ad alcuni soci soltanto, nelle S.p.A. o S.a.p.A. il vincolo d’opzione o riscatto mortis causa può essere incorporato nella categoria speciale delle azioni riscattabili, ex art. 2437-sexies c.c. da parte sia dei soci superstiti che dalla società.

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